Intervista con Andrea Marcolongo

Published by Nicolas Ragonneau on

L'autrice Andrea Marcolongo
Andrea Marcolongo. Foto Nikos Aliagas.

Intervista proustiana con la prima donna del greco antico, Andrea Marcolongo.

Ho in comune con Andrea Marcolongo l’amore per Marcel Proust, per i tabù linguistici,  per gli eufemismi (εὐφημέω, « pronunciare parole di buon augurio », come ci ricorda ne La lingua geniale) e l’amore per l’incomparabile luce di Belle-Île en mer, ma ahimé (o, meglio, οἴμοι), non ho mai studiato il greco antico ! Andrea, da anni lettrice di Proust, è entrata in una comunità di proustiani grecisti che conta tra i suoi membri più illustri Bernard de Fallois o Nathalie Mauriac Dyer. Ma Andrea è ancora più vicina alla poetessa Anne Carson : sia Anne che Andrea sono delle greciste proustiane ; notare la distinzione.
Chi avrebbe immaginato che una dichiarazione d’amore per il greco classico avesse delle chances di diventare un successo mondiale ? È invece proprio la sorte che ha avuto il suo primo saggio, La lingua geniale, pubblicato in Italia nel 2016. E, siccome Andrea fa tutto molto più velocemente degli altri, ha dato alle stampe subito dopo La Misura eroica, Alla Fonte delle parole, viaggio sinuoso e personalissimo verso la fonte delle parole ed La Lezione di Enea. Andrea fa parte di questa generazione di laureati in Lettere classiche che stanno rivoluzionando il metodo d’insegnamento e l’apprendimento delle lingue antiche. L’epopea che Andrea sta vivendo prosegue ora in Francia : la cosa non merita un’intervista ?

Andrea, le scrivo dalla periferia est di Parigi, da Saint-Maur-des-Fossés, patria di Guillaume Budé ! Che cosa le ispira ?
Questa è una vera madeleine proustiana ! Soltanto udire il nome di Guillaume Budé mi provoca un salto nel passato : a quando, giovane studentessa di lettere antiche all’università di Milano, apprendevo a tradurre Platone, Sofocle o Euripide sui testi della collezione Budé, dall’inconfondibile copertina gialla e dal profumo delle loro pagine che, per me, è il profumo del classico.

Marcolongo : il suo cognome contiene un’etimologia interessante ?
Il mio cognome non ha alcuna etimologia in particolare, ma il mio nome sì. Andrea — che in Italia è un nome esclusivamente maschile (fatto che mi ha provocato non pochi fraintendimenti esilaranti e bizzarri, come racconto ne La Lingua Geniale) deriva dal greco ἀνήρ (anēr), che significa « uomo ». Dalla stessa radice discende il vocabolo ἀνδρεία (andreìa), parola che amo molto perché significa « forza », « valore », « coraggio », e che è diventata la mia bandiera.

Credo che la chiave non sia nella lingua, ma nell’assoluto bisogno di poesia di cui il mio libro parla.

La lingua Geniale (2016) è stato un successo gigantesco nel mondo : il libro è stato tradotto in molte lingue. Quasi cinque anni dopo la sua uscita, come spiega il suo incredibile successo editoriale ? Del resto, pensa che sia spiegabile ? 
Per anni mi sono chiesta come spiegare il successo mondiale di un libro dedicato al greco antico, oggi tradotto in 28 Paesi e venduto in mezzo milione di esemplari. Ho spesso chiesto ai lettori, che non sono ovviamente tutti classicisti o appassionati di lingue antiche, e la risposta è sempre stata la stessa : un senso di appartenenza che supera la lingua greca e che unisce persone di età e di formazione diverse tra loro, ma tutte accomunate dalla stessa visione del mondo ? Credo che la chiave non sia nella lingua, ma nell’assoluto bisogno di poesia di cui il mio libro parla.

In Francia L’amica Geniale è  uscito col titolo L’amie prodigieuse. Perché allora La lingua geniale è  uscito col titolo  La langue géniale e non La langue prodigieuse ?
Premetto di adorare Elena Ferrante, che è per Napoli e per l’Italia molto vicina all’introspezione di Proust. I titoli dei due libri sono diversi poiché il mio aggettivo « géniale » rimanda etimologicamente al verbo greco γίγνομαι (ghìgnomai) che significa « generare », « creare », « divenire » : per me la lingua greca, per la fantasia e per la libertà della sua costruzione grammaticale e per la sua sintassi, è la lingua creatrice — dunque geniale — per eccellenza, perché permette di modellare ogni parola in base alla forma dei nostri pensieri.

Quali sono stati gli effetti del successo de La lingua geniale sull’insegnamento del greco in particolare e in generale delle lingue antiche ?
Con mia grande sorpresa, il libro ha creato un dibattito mondiale sul tema dell’insegnamento delle lingua classiche, culminato lo scorso dicembre con una mia conferenza alla Columbia University. Più in generale — ricordo il mio intervento alla Sorbona qualche anno fa —, sono lieta che si sia instaurato un dialogo tra il mondo accademico e tutti coloro che, pur con formazioni diverse ed esperienze diverse, sono curiosi di avvicinarsi al mondo classico. Soprattutto — e qui Proust ne sarebbe lieto —, il tema dell’insegnamento delle lingue classiche è stato sottratto al secolare dibattito circa la loro importanza e la loro utilità e si è fatta più attenzione alla loro bellezza e al piacere dato dal saper maneggiare la lingua di Saffo o di Euripide.

In Etymologies lei ha suddiviso il libro associando parole e colori, e in generale il libro è pieno di sinestesie. Per lei le parole hanno dei colori, si associano a altri elementi sensoriali o a numeri ? 
Effettivamente mi accade molto spesso di associare le parole che pronuncio o che leggo a delle esperienze fisiche — la luce in cui sto leggendo, il profumo di chi mi sta accanto, la melodia di una musica o il ticchettio della pioggia. Nel caso di Etymologies, la scelta dei colori deriva proprio dalla voglia di raggruppare il racconto di 99 parole non legate tra loro per sinestesie che potessero raccontare altro al lettore. Inoltre, le parole greche per indicare i colori erano molto fisiche nella loro poesia, poiché i colori non erano espressi a seconda dello specchio cromatico, ma in base a gradazioni di luce.

I suoi libri sono molto colti, a volte un po” tecnici, politici, ma essenzialmente sognatori, poetici e pervasi di un amore e di una fede infinita nella lingua. Il genere letterario sembra poco importante per lei,come se cercasse di scrivere un libro totale, che fondesse registri e gamme molto diversi. È  questa la sua ambizione ?
Grazie, adoro questa definizione, “libro totale”! Spesso mi viene chiesto a quale genere appartengano i miei libri, che in libreria si possono trovare nello scaffale « Classici » come in « Linguistica », ma anche in « Romanzi », in « Viaggi » o in « Filosofia ». La verità è che non penso mai a quale categoria appartiene il libro che sto scrivendo e in esso metto tutta me stessa, non solo le parole, ma esperienze sensoriali, musica, ricordi. La definizione migliore è forse quella data da Le Monde che parla di « diario intimo erudito ». 

Oggi lei vive in Francia e spero che il suo esilio sia più dolce di quello di Ovidio nel Ponto Eusino. Il francese è la sua lingua d’adozione. Come si sente in questa lingua ?
Adoro la Francia e sono fiera di essermi stabilita permanentemente a Parigi. Il francese è dunque la mia seconda lingua, quella che parlo con le persone a me care, con il mio editore o nel mio quartiere, a Montmartre. Tuttavia, amo dire che il mio essere italiana non risiede nel mio passaporto né nella mia abilità in cucina, bensì nella mia lingua madre, l’italiano. Sono italiano perché in italiano scrivo e penso i miei libri, l’italiano è il filtro attraverso cui racconto il mondo – esattamente come il greco antico lo era per Platone.

Negli anni ho imparato a leggere Proust in francese, poco a poco, fino ad un vero viaggio con Proust, in Pleiade, lo scorso dicembre, fino a Belle-Ile en Mer in cui la sera, davanti al camino, ho riletto integralmente Du côté de chez Swann […]

Domanda rituale nella maggior parte delle mie interviste : qual è stata la sua prima esperienza con la Ricerca, e in quale/i traduzione/i l’ha letta ? Quanti ricordi ! Senza dubbio, il mio primo incontro con Proust è avvenuto molto presto : ero poco più di una bambina quando mia nonna, che era di origine francese, mi accompagnò alla biblioteca pubblica del piccolo villaggio del Chianti dove sono cresciuta. Quel tesserino della biblioteca è stata per me la chiave di volta per aprire me stessa al mondo. Il mio primo incontro con la Recherche dev’essere dunque avvenuto lì, quando li aggiravo curiosa tra gli scaffali e amavo scegliere i libri più voluminosi : cercavo libri con tante pagine in modo che i loro autori non mi lasciassero sola. Negli anni ho imparato a leggere Proust in francese, poco a poco, fino ad un vero viaggio con Proust, in Pleiade, lo scorso dicembre, fino a Belle-Ile en Mer in cui la sera, davanti al camino, ho riletto integralmente Du côté de chez Swann fino ad intestardirmi a cercare un esemplare di cattleya per poterne gustare il profumo. 

Il linguaggio è al centro della Recherche, anche solo per i diversi registri linguistici dei vari personaggi. Qual è il suo sentimento nei confronti di Marcel Proust sociolinguista ?
Proust ha accompagnato ogni fase della mia vita, di donna e di scrittrice, al punto che è citato in tutti i libri che ho scritto. In effetti la Recherche è un caleidoscopio linguistico per la varietà e la cura dei registri utilizzati e per la precisione quasi magica con cui Proust dipinge le parole di ciascuno dei suoi personaggi. Il risultato è un quadro, anzi, un opera omnia della lingua francese e delle sue possibilità di pensiero.

Che pensa delle etimologie di Proust nella Recherche ? Mi sembrano piuttosto vicine alla sua immaginazione… Le etimologie proustiane le sembrano rappresentare un mondo pre-saussuriano, una visione del linguaggio del tipo di quella del Cratilo ?
Amo molto le etimologie proustiane, al punto di pensare un giorno di raccoglierle in un piccolo libro. In effetti, sono molto « platoniche » e sempre molto poetiche. Il loro fine non è mai quello di essere pedanti o di applicare regole di linguistica, ma di illuminare il mondo, soprattutto interiore, dei personaggi che utilizzano le parole che da esse derivano.

Una domanda di geopolitica per finire. Il Regno Unito ha lasciato l’Europa nel momento in cui la pandemia rimette in questione tutte le nostre (fragili) certezze ? In un momento in cui l’inglese sembra meno necessario, pensa che il mondo romanzo sia capace di definire un nuovo ordine in Europa che ci permetta di rimetterci in piedi ?
Si tratta di una domanda complessa e la risposta è delicata. Al di là delle singole vicende degli Stati Europei, vale la pena di citare Saussure quando dice che la lingua è un fatto innanzitutto sociale : la lingua appartiene, immanente, al popolo che la parla e viceversa. Per mutare una lingua, o per estenderla ad altri Paesi, è innanzitutto necessario che cambi il modo di vedere il mondo e di esprimerlo a parole del popolo che la parla — basti pensare al greco classico che, parlato in un territorio ristretto della Grecia fino al V secolo a.C., quando venne esteso su un territorio vastissimo da Alessandro Magno cambiò irrimediabilmente. Per pensare dunque ad un’evoluzione anche linguistica dell’Europa, è necessario ripartire dal sentimento europeo nei cittadini dei singoli stati – credo sia il sentimento di appartenenza a mancare oggi più che mai, a un anno di pandemia gestita individualmente dai singoli stati, un po’ come un romanzo a molte, troppe voci incapaci di ascoltarsi davvero in sinergia tra loro.

Introduzione e domande tradotte dall’italiano da Federico Benedetti e Luigi-Alberto Sanchi. Grazie cari amici.


1 Comment

vinicio · 15 février 2021 at 5 h 39 min

Sempre « geniale« Andrea e quanta strada in così pochi anni.
Non posso fare a meno di ricordarla alla Leopolda con l’ipad e in mille occasioni a partire dal suo ritorno da Atene dopo la pubblicazione della lingua geniale quando ancora dubitava della sua splendida vocazione di scrittrice.
Proust è stato il mio primo investimento al Liceo :un altro punto in comune.
Quanta nostalgia !

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